Libera chiesa in libero stato


Prof. Daniele Abate

La scuola San Giovanni Bosco si è aperta al territorio, onorando le proprie origini, le proprie fondamenta culturali, esplicando la prima forma base di accoglienza: verso sé ed i propri vicini prossimi, i propri concittadini. Accogliere il proprio passato, e rispettare quanti ancor oggi credono, appartiene al progresso intellettuale, pone dinnanzi ponti e strade verso il futuro. Chi pensa, piuttosto, che la laicità dello Stato sia da intendersi quale imposizione ateistica, erra, colpendo non solo il prossimo ma i propri ideali, e così imponendo, condannando, un popolo al suo annullamento identitario. A quanti tengono strettamente a tal’ultimo presupposto, si ricordi altresì che la storia ci insegna che le più grandi oppressioni hanno fatto poi grandi le culture represse, andando dunque contro l’interesse dei propri oppressori. Cui prodest?
La celeberrima frase di Montalembert “libera chiesa in libero stato”, cara a Cavour tanto da essere stata da lui pronunziata il giorno in cui Roma venne dichiarata capitale del regno d’Italia, enuncia un concetto di libertà che, come tale, abbisogna di trovare il giusto compromesso, fungendo non da isolante ma da ammortizzatore fra i diversi schieramenti di pensiero. Questa è la libertà. Questo è il pensiero di Paesi sani, liberi. Non per dietrologia, ma lo stesso operato del Cavour e della maggior parte dei risorgimentalisti dovrebbero portarci a riflettere, poiché proprio l’aver da loro parte controverto al concetto sopracitato, aggirandolo con la confisca dei centri religiosi, lo scioglimento ufficiale degli ordini e quanto altro ne concernesse, altro non fece che maturare sconforto e disprezzo presso la nascente popolazione dell’Italia unita, in cui il meridione ebbe la peggio.
Analizzati tali presupposti si è mosso un corteo ordinato, che dalla sede centrale della nostra Scuola è giunto sin dinnanzi alla Cattedrale dove il coro ha intonato sub divo un primo canto, l’Inno a Sant’Agata. Perché chi ne abbia desiderio possa ancora sperare in una vita ordinata e libera di professare il credo dei propri avi, o semplicemente il proprio in ottemperanza ai dettami di legge dello stato in cui se ne esercitino i riti e le usanze. Dello stesso avviso i molti convenuti di altra professione religiosa, che hanno visto nell’evento in questione un’occasione per ritrovarsi insieme a riflettere, scambiare idee, pensare in comunità. Sant’Agata è festa di popolo, è per Catania l’ingresso ufficiale del cristianesimo che si manifesta nel sacrificio.  É donna.  Fuoco, roccia e fiori. Chi sente il bisogno di contrastarla non cerchi ideali da scudo, ma esponga piuttosto le proprie motivazioni. Noi saremo pronti a delucidare, ma non a rinunziare alla nostra Santa, alla nostra Storia, al vivere cittadino. La nostra scuola muovendo al vento la Trinacria ha manifestato onori alla propria cultura, mostrato rispetto ed affetti per quella che è la propria Terra prossima. In un tempo in cui è più facile sentirsi cittadini del mondo, come non sentirsi obbligati a portare avanti la bellezza delle tradizioni, della cultura? Non trarre piacere dal crearne di nuove? La varietà, nelle diverse aree geografiche, delle diverse culture nel mondo non offre forse spunti di riflessioni plurimi?
 Il Nostro coro animando i tre appuntamenti avente a tema la “Santuzza” (due presso la Cattedrale ed uno presso la biblioteca Alberto Sordi) hanno intersecato le proprie voci ai millenni, inserendosi in onoreficenze che da secoli si muovono sul suolo catanese. Un ringraziamento ufficiale è giunto quindi dalla Curia catanese ai nostri ragazzi, alla D.S.
Prof.ssa Valeria Pappalardo ed allo scrivente. Viva dunque la Tradizione, il folklore, e per chi come lo scrivente è credente “Cittadini, Cittadini, Cittadini, Viva Sant’Agata”! Viva la Nostra città in un tripudio di emozioni, riflessioni, luci e buoni propositi.

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